Insegnare con il cervello in mente

Pubblicato il

30 maggio 2025

Che cosa succede nel cervello di uno studente mentre ascolta, legge o risolve un problema? Ogni giorno, in ogni classe, si attivano milioni di connessioni neurali: apprendimenti, emozioni, ricordi. Eppure, raramente ci chiediamo come queste dinamiche influenzino davvero l’efficacia del nostro insegnamento.

Le neuroscienze ci mettono oggi a disposizione una conoscenza nuova e preziosa: il funzionamento del cervello umano. Capirlo non è più un’opzione, ma una necessità per chi insegna. Perché se vogliamo insegnare davvero, dobbiamo sapere come si impara.

Che cos’è la neurodidattica

La neurodidattica è l’incontro tra neuroscienze, pedagogia e psicologia cognitiva. Nasce dal bisogno di tradurre ciò che la scienza scopre sul cervello in strumenti utili per insegnare meglio.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non si tratta di una moda passeggera o di “neurofuffa” – come sono state definite alcune interpretazioni poco rigorose. Al contrario, la neurodidattica si fonda su ricerche validate e su un principio chiave: insegnare in modo compatibile con il cervello.

Emozioni e attenzione: una coppia inseparabile

Le emozioni giocano un ruolo decisivo nell’apprendimento. Quando uno studente è coinvolto emotivamente, l’ippocampo e l’amigdala – due aree cruciali per memoria e attenzione – si attivano con più efficacia. L’emozione seleziona ciò che merita di essere ricordato. Un contesto motivante e positivo è, quindi, la prima condizione per apprendere.

Il cervello, inoltre, apprende attraverso cicli: esposizione, elaborazione, recupero. Ripetere non significa ripassare tutto alla fine, ma distribuire nel tempo le occasioni di richiamo attivo delle informazioni (strategia nota come spaced repetition). Consolidare significa rientrare più volte in contatto con un contenuto, rielaborandolo in modi diversi.

Per poter apprendere e insegnare in maniera efficace bisogna conoscere anche i limiti del nostro cervello: non è fatto per fare più cose cognitive complesse contemporaneamente. Ogni cambio di compito comporta un costo mentale. Favorire la concentrazione e la gestione dell’attenzione, anche attraverso tecniche di “focalizzazione” (es. micro-obiettivi, mappe visive, pause attive), è essenziale.

Strategie neurodidattiche per l’aula

Insegnare attraverso la neurodidattica richiede un cambio di paradigma anche dal punto di vista dello sforzo educativo. Per aiutarvi ad entrare in quest'ottica vi proponiamo alcune strategie efficaci:

  • Coinvolgi più canali sensoriali: La memoria migliora se l’informazione è codificata in più modalità (visiva, uditiva, motoria). Usa grafici, mappe, oggetti, simulazioni, musica o movimento per attivare più aree cerebrali.
  • Alterna input e output: Dopo una spiegazione, attiva subito un esercizio pratico, una discussione o una breve restituzione. Il cervello apprende meglio quando può agire sull’informazione.
  • Attiva la metacognizione: Chiedi agli studenti di riflettere su come apprendono, non solo su cosa studiano. “Come hai risolto questo problema?”, “Cosa ti ha aiutato a ricordare questo concetto?”: queste domande allenano le funzioni esecutive.
  • Crea routine cognitive: Inizia le lezioni con un “brain warm-up”: domande flash, microquiz, collegamenti con lezioni precedenti. In pochi minuti, il cervello entra in modalità attiva.
  • Costruisci un clima emotivo sicuro: Un contesto relazionale empatico, senza giudizio, riduce la produzione di cortisolo (ormone dello stress) e favorisce l’apprendimento. Le neuroscienze confermano ciò che la buona didattica sa da sempre: si impara dove ci si sente accolti.

Il docente come “allenatore del cervello”

Adottare uno sguardo neurodidattico non significa diventare neuroscienziati, ma sviluppare una consapevolezza cerebrale dell’insegnamento. Ogni insegnante può diventare un "allenatore del cervello": qualcuno che guida, stimola, calibra, crea le condizioni migliori perché l’apprendimento accada.

Non si tratta di rivoluzionare la propria didattica, ma di affinarla, valorizzando pratiche coerenti con come funziona davvero la mente.

Le neuroscienze ci offrono strumenti concreti per insegnare meglio. Ma ci pongono anche una sfida: uscire dalla trasmissione meccanica del sapere e abbracciare una didattica centrata su chi apprende. Capire il cervello significa comprendere più a fondo i nostri studenti, e costruire con loro una scuola dove si impara davvero.

Perché insegnare, oggi, non è solo questione di programmi, ma di connessioni. Neurali, ma anche umane.

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